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I NUOVI REATI TRIBUTARI: RISPETTATI I CRITERI DELLA LEGGE DELEGA?
P. Pasquinuzzi e M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.12 - 2015



I nuovi reati tributari: rispettati i criteri della
Legge Delega? - Studio Legale Traversi - studio legale auto riciclaggio Firenze

I NUOVI REATI TRIBUTARI: RISPETTATI I CRITERI DELLA LEGGE DELEGA?
di Paola Pasquinuzzi e Martina Urban

1.      Considerazioni di ordine generale
Per oltre un anno i contribuenti e gli operatori del diritto hanno atteso che venisse data attuazione alla Legge Delega 11 marzo 2014, n. 23 emanata per realizzare un "sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita".
Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (pubblicato in data 7 ottobre 2015) ha finalmente dato esecuzione all'art. 8 della Legge Delega, che aveva dettato i criteri per procedere alla "revisione del sistema sanzionatorio".
In particolare, per quanto riguarda i profili penali, il citato D.Lgs. n. 158/2015 ha radicalmente modificato l'impianto normativo dei reati tributari, disciplinati dal  D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Preliminarmente, per poi passare in rassegna le principali novità, occorre ricordare che la Legge Delega ha indicato alcune linee-guida per riformare la materia, secondo "criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti".
Il Legislatore Delegato ha quindi inteso circoscrivere l'area di intervento della sanzione penale "ai soli casi connotati da un  particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale, in particolare, nei comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all'attività di controllo", come indicato nella Relazione Illustrativa al D.Lgs. n 158/2015.
In linea generale, prima di esaminare le singole disposizioni, così come modificate dal decreto in questione, è necessario illustrare la ratio comune dell’intervento legislativo.
Innanzitutto, è stato limitato l'ambito applicativo di molte fattispecie di reato (innalzando, ad esempio, le soglie di rilevanza penale), al fine di colpire con la sanzione penale solo i casi di maggiore gravità.
In secondo luogo, si è data una speciale rilevanza allo scopo di recupero delle imposte evase e, per tale ragione, il pagamento del debito tributario consente, sul piano penale, al contribuente- imputato di beneficiare di speciali cause di non punibilità, dell'applicazione di una specifica circostanza attenuante, di poter limitare la confisca, nonché della possibilità di accedere al rito alternativo del c.d. "patteggiamento", che comporta la diminuzione di un terzo della pena.
Nonostante ciò, il Legislatore ha tuttavia esteso il novero delle ipotesi di reato caratterizzate da fraudolenza, per le quali è previsto un trattamento sanzionatorio molto severo, tale da giustificare addirittura l'adozione di misure cautelari personali, nonché l'uso delle intercettazioni telefoniche, come nel caso di indebite compensazioni di crediti inesistenti.

  • Definizioni (art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000)

Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha modificato in maniera sostanziale la normativa penale tributaria, a partire dalle norme definitorie, contenute nell'art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000, comuni a tutte le fattispecie di reato in esso contenute, il cui scopo principale  è quello evitare incertezze interpretative su termini che sono essenziali per l'applicazione della normativa in questione, strettamente collegata a quella tributaria (ad es.: il concetto di "dichiarazioni" o "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" etc.).
Cambia innanzitutto la nozione di "elementi attivi o passivi" rilevanti ai fini penali, di cui all’ art. 1, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 74/2000, che non solo comprendono tutte le voci, comunque costituite, che concorrono in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto,  ma anche le componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta (come ad esempio ad esempio crediti di imposta e ritenute).
In secondo luogo, per i reati che si perfezionano con la presentazione della dichiarazione, l'art. 1, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 74/2000, oltre all'amministratore liquidatore o rappresentante di persone giuridiche, nel novero dei soggetti attivi indica anche il sostituto d'imposta.
La novità più significativa è tuttavia quella relativa alla determinazione del concetto di "imposta evasa", di cui all'art. 1, comma 1, lett. f), del D.Lgs. n. 74/2000.
Tale disposizione prevede, infatti, che per determinare l'ammontare del tributo sottratto a tassazione si debba tenere conto non solo di eventuali pagamenti parziali, anche per effetto del versamento di ritenute, come nella norma previgente, ma altresì "non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata ad una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili".
Ciò significa che le perdite devono essere sempre scomputate dalla base imponibile al fine di verificare il superamento delle soglie di punibilità, ove ciò sia richiesto per la configurabilità del reato.
Da ultimo, per il calcolo dell'imposta evasa ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilità, laddove previste, occorrerà tenere conto anche dell'ammontare dell'indebito rimborso richiesto o dell'inesistente credito di imposta esposto in dichiarazione, a norma dell'art. 1, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 74/2000.
Tali ultime due disposizioni sono l'espressione della volontà legislativa di considerare il dato sostanziale, calcolando quindi l'imposta evasa non in via astratta (e, cioè, sulla base delle violazioni contestate), ma unicamente sulla base dell'imposta dovuta in concreto, sulla base del criterio di effettività, indicato anche dalla Legge Delega e, in ogni caso, in ottemperanza al principio costituzionale di capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost.

  • Dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74/2000)

  Sul versante delle specifiche fattispecie di reato, il D.Lgs. n. 158/2015 ha innanzitutto modificato il delitto di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti", di cui all'art. 2 de D.Lgs. n. 74/2000, per cui, attualmente, "è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi".
Il Legislatore si è limitato a eliminare dal testo previgente il termine "annuali", lasciando inalterato nel resto il testo dell'art. 2, con l’effetto di estendere la punibilità a tutte le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA e non solo a quelle annuali.
In buona sostanza, la condotta del delitto in questione è stata ampliata in senso materiale, in quanto l'indicazione di elementi passivi fittizi viene punita anche nel caso di dichiarazioni tributarie diverse da quelle annuali ordinarie, previste dagli artt. 1 e 8 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322.
Si tratta, in particolare, delle dichiarazioni in caso di liquidazione delle persone giuridiche, società o associazioni, (art. 5 del citato D.P.R. n. 322/1998), o relative alla procedura di fallimento o liquidazione coatta amministrativa (art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 322/1998).
Inoltre, assumono rilevanza penale altresì le dichiarazioni presentate per le ipotesi di operazioni straordinarie, quali trasformazione, fusione e scissione di una persona giuridica (art. 5 bis del D.P.R. n. 322/1998), nonchè quelle relative all'eredità giacente (art. 5 ter del D.P.R. n. 322/1998).
Oltre a queste ipotesi specifiche, si ritiene che nel novero delle dichiarazioni comprese nell'ambito applicativo del nuovo art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, rientrino anche le dichiarazioni periodiche di operazioni comunitarie (Intra 12 e Intra 13) .
Tali ultime ipotesi assumono particolare importanza in riferimento ai soggetti che operano attraverso il meccanismo IVA del c.d. reverse charge.
L'ampliamento della portata applicativa della norma a dichiarazioni periodiche fa sorgere alcune perplessità in ordine alle ipotesi in cui il contribuente presenti più dichiarazioni nel corso del medesimo periodo d'imposta.
A parere di chi scrive, in virtù di tale ampliamento oggettivo, il soggetto di cui sopra potrà rispondere di una pluralità di reati (tanti quante sono le dichiarazioni fraudolente), benché uniti dal vincolo della continuazione, ai sensi dell'art. 81 cod. pen.
La modifica legislativa in questione sembrerebbe aprire le porte anche alla rilevanza penale della dichiarazione integrativa di cui all'art. 2, comma 8, D.P.R. n. 322/1998, determinando così lo slittamento del momento consumativo del reato alla presentazione dell'ultima delle dichiarazioni.         
Dopo aver analizzato il contenuto del nuovo testo dell’art. 2, è da ritenersi che il Legislatore abbia, ancora una volta, perso l'occasione di rivedere l'intero impianto della fattispecie di cui trattasi, dato che avrebbe potuto prevedere una ipotesi attenuata per i fatti meno gravi, come nel caso di uso di fatture false di importo modesto, in modo da graduare la pena in proporzione al danno erariale eventualmente determinato dalla condotta criminosa.
Tra l’altro, tale scelta appare non pienamente conforme alle linee guida della Legge Delega, che aveva fissato - tra l'altro - un preciso criterio di "proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti", proprio per dare la possibilità di adeguare il trattamento sanzionatorio alla violazione in concreto.
Oltre a ciò, il Legislatore continua a non distinguere tra ipotesi di fatture per operazioni del tutto inesistenti e quelle solo parzialmente inesistenti e (c.d. sovrafatturazione), benchè il disvalore della condotta sia diverso sotto un profilo della violazione del bene giuridico tutelato.

  • Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. n. 74/2000):

Come evidenziato dalla Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 158/2015, la revisione dell'art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000 ha avuto la duplice finalità di semplificare la struttura dell'illecito e di estenderne il campo applicativo, nel rispetto dell'art. 8 della Legge Delega, in cui si è affermato il principio della rilevanza dei comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa.
In particolare, la nuova fattispecie prevede l'applicazione della pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni nei confronti di chi, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi di ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, attraverso taluna delle seguenti modalità alternative:
mediante operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente;
ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti.

  •   Il Legislatore, oltre all’ipotesi già prevista di "documenti falsi o altri mezzi fraudolenti", ha introdotto anche l'ipotesi di simulazione.
  •   Tuttavia, l'art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000, così come modificato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 158/2015, precisa che tali "operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente" sono da intendersi come "operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall'articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 [in tema di abuso del diritto o elusione, n.d.r.],  poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti".
  • Inoltre, la medesima norma definisce altresì i "mezzi fraudolenti" che consistono in "condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà".
  •   In ogni caso, entrambe le suddette modalità della condotta devono presentare un tratto comune e, cioè, quello dell'idoneità ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'Amministrazione Finanziaria.
  •   Ciò sempreché risultino superate entrambe le soglie di punibilità previste dal comma 1 e, cioè:
  • a) l'imposta evasa deve essere superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
  • b) e, congiuntamente, l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante l'indicazione di elementi passivi, è superiore al 5% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta è superiore al 5% dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila.
  •   In primo luogo, a differenza della precedente formulazione normativa, per cui presupposto del reato era la "falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie", attualmente tale elemento costitutivo è stato abrogato.
  • Pertanto, è da ritenere che l'ambito dei potenziali soggetti attivi del reato si sia ampliato, ricomprendendo chiunque sia tenuto a presentare le dichiarazioni dei redditi o IVA, anche se non obbligato alla tenuta delle scritture contabili.
  •   In secondo luogo si rileva che il Legislatore, in analogia con quanto previsto per l'altra ipotesi di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2, ha specificato che il fatto si considera commesso con l'uso di documenti falsi, a condizione che gli stessi siano stati registrati nelle scritture contabili obbligatorie o, comunque, detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria (art. 3, comma 2).
  •   Tuttavia, per evitare un'applicazione troppo ampia della norma in questione, il successivo comma 3 dispone espressamente che non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione (scontrini fiscali, documenti di trasporto ecc...), e di annotazione di elementi attivi nelle scritture contabili, nonchè la mera indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali (c.d. sottofatturazione).
  • Ciò in quanto il Legislatore ha inteso distinguere nettamente il delitto in questione rispetto alla ipotesi più lieve di dichiarazione infedele, priva del carattere di frode.
  •  
  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. n. 74/2000)

Il delitto di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 si perfeziona con la presentazione di una dichiarazione infedele e, cioè, con la mera indicazione di elementi attivi inferiori a quelli reali o elementi passivi inesistenti, senza l'uso di mezzi fraudolenti, purchè venga superata la duplice soglia di punibilità prevista dalla norma in questione.
Per quanto concerne il delitto in esame, la modifica apportata dal D.Lgs. n. 158/2015 riguarda innanzi tutto l'innalzamento delle soglie di punibilità, per cui la condotta è penalmente rilevante quando si verificano entrambe le seguenti condizioni e, cioè:
1. almeno una delle imposte evase deve essere superiore a euro centocinquantamila;
2. l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti a imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro tre milioni.
Tale aumento delle soglie comporta un conseguente restringimento dell’ambito applicativo della norma in senso decisamente favorevole al contribuente e corrisponde alla volontà del Legislatore di applicare la sanzione penale come extrema ratio, unicamente alle ipotesi di evasione che comportano un danno erariale molto rilevante.
Oltre a ciò, i nuovi commi 1 bis e 1 ter chiariscono, una volta per tutte, che, oltre alle valutazioni trasparenti, la non corretta contabilizzazione di elementi esistenti non dà luogo a fatti punibili.
In particolare, per espressa previsione legislativa, non sono penalmente rilevanti le seguenti fattispecie previste dal nuovo comma 1 bis:
la non corretta classificazione delle poste di bilancio;
la valutazione di elementi attivi o passivi che però siano oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati siano stati comunque indicati nel bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali (cd. valutazioni trasparenti);
violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza;
la non inerenza, la non deducibilità di elementi passivi reali.

  • Inoltre, in via residuale, ai sensi dell'art. 4, comma 1 ter del D.Lgs. n. 74/2000, non si tiene conto delle valutazioni che, ancorché non giustificate nel bilancio, singolarmente considerate differiscano in misura inferiore al 10% rispetto a quelle corrette.

Oltretutto gli importi compresi in tale percentuale non rilevano ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dalla norma in questione.
Sicuramente la novità più significativa è quella di aver escluso la punibilità in caso di utilizzazione di elementi passivi esistenti ma ritenuti indeducibili dalla normativa tributaria.
Il Legislatore, come si legge nella Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 158/2015, in particolare ha infatti voluto sottrarre a rischi penali quei comportamenti che hanno "ampi margini di opinabilità e di incertezza che connotano i risultati di dette valutazioni".
Ragione per cui è da ritenere che, d'ora in avanti, sia poco probabile che possa configurarsi tale reato, non solo per le alte soglie di punibilità che devono ricorrere congiuntamente, ma soprattutto perché per escludere la sussistenza del reato sarà sufficiente esporre nel bilancio una qualche valutazione, purchè trasparente, sebbene incauta e non corretta circa la quantificazione o qualificazione delle poste contabili.

  • Omessa Dichiarazione (art. 5 D.Lgs. n. 74/2000)

Quanto al delitto di omessa dichiarazione, le modifiche del reato in questione riguardano due punti essenziali: l'innalzamento della soglia di punibilità (che passa da trentamila a cinquantamila euro di imposta evasa) e l'inasprimento della pena irrogabile (ora compresa tra un minimo di un anno e sei mesi a un massimo di quattro anni di reclusione anziché da uno a tre a anni di reclusione) .
Tale modifica non sembra perfettamente in linea con i criteri fissati dall’art. 8 della Legge Delega, in base ai quali la sanzione penale avrebbe dovuto essere limitata unicamente ai comportamenti fraudolenti.
Tuttavia, la scelta legislativa di inasprire il trattamento sanzionatorio per l'omessa dichiarazione risponde ad una politica criminale ben precisa, che trova il fondamento nella maggiore insidiosità della condotta rispetto a quella di presentazione di una dichiarazione infedele.
Ciò in quanto la pratica tributaria ha dimostrato che l'evasore totale è più pericoloso socialmente di colui che evade parzialmente le imposte, non solo per il maggior danno erariale cagionato, ma soprattutto perché l'accertamento della violazione e la determinazione del quantum di imposta evasa è particolarmente difficoltoso.
Pertanto, il delitto di omessa dichiarazione, nella formulazione attuale è più grave di quello di dichiarazione infedele, benché l'innalzamento della soglia abbia limitato la punibilità soltanto ai casi di notevole danno erariale.
Infine, è da prendere in considerazione il fatto che il D.Lgs. n. 158/2015 ha altresì esteso il novero dei soggetti attivi del delitto di omessa dichiarazione, comprendendovi anche il sostituto d'imposta .
Quest'ultimo soggiace alla medesima pena prevista dall'art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000 (reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni), quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a cinquantamila euro.
Nessuna particolare novità invece quanto al momento consumativo, dato che il reato si perfeziona dopo novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione.
Come nella disciplina previgente, infine, non assumono rilevanza penale le violazioni di tipo formale, cioè quando la dichiarazione non sia sottoscritta o sia redatta su uno stampato non conforme al modello prescritto.

  • Occultamento e distruzione di documenti contabili (Art. 10).   

  Con il D.Lgs. n. 158/2015 il delitto di cui all'art. 10 è stato modificato, ma unicamente sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, prevedendo un innalzamento della pena che è equiparata a quella dei reati connotati da fraudolenza (art. 2, 3 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000).
Pertanto, la distruzione o l'occultamento dei documenti contabili è punito con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni .
Tale trattamento sanzionatorio è giustificato dal fatto che la condotta appare particolarmente insidiosa, in quanto la mancanza di documenti contabili costituisce un serio ostacolo per l'accertamento tributario, violando pertanto l'interesse primario dell'amministrazione finanziaria alla repressione dell'evasione.

  • Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (Art. 10 bis)

Per quanto riguarda il delitto di cui all'art. 10 bis del D.Lgs. n. 74/2000, attualmente è applicabile a tutte le ritenute effettivamente dovute in base alla dichiarazione, a prescindere dal rilascio della relativa certificazione.
Al contrario, la norma previgente prevedeva che il reato si consumasse unicamente nel caso di certificazione di ritenute in realtà mai versate.
Ciò in quanto la certificazione dà luogo a un danno erariale certo, dato che il sostituito può detrarsi l'importo della ritenuta certificata, a prescindere dall'effettivo versamento da parte del sostituto d'imposta.
Nella formulazione attuale, invece, per la commissione del reato sarà sufficiente il mancato versamento dell'importo indicato nel modello 770, anche senza che il sostituto abbia provveduto al rilascio della relativa certificazione, che prima era invece elemento costitutivo del reato.
Tuttavia, il Legislatore, pur avendo ampliato l'ambito oggettivo del delitto in questione, ha fissato delle soglie di punibilità più alte e, pertanto l’importo minimo delle ritenute passa da euro cinquantamila a euro centocinquantamila.
Tale scelta corrisponde all’intento di mantenere la tutela penale in ordine all’interesse alla percezione concreta del tributo, punendo però con sanzione penale soltanto i casi più gravi di omesso versamento, laddove l’importo delle ritenute e, quindi, il danno erariale, è effettivamente molto elevato, lasciando alle sanzioni amministrative il compito di “coprire” tutte le altre omissioni.

  • Omesso versamento di IVA (Art. 10 ter)

Per quanto concerne l’omesso versamento di IVA, la condotta penalmente rilevante è costituita dall’inosservanza degli obblighi tributari di pagamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale.
Si tratta di una fattispecie introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento nel 2006 soprattutto per punire i partecipanti alle c.d. “frodi carosello”, ma che, negli ultimi anni, ha trovato larga applicazione a comportamenti non di volontaria sottrazione agli obblighi tributari, ma indotti dalla mancanza di liquidità, a causa della crisi economica.
Ciò è dimostrato da numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione che hanno infatti ritenuto non punibile l’omesso versamento di IVA, qualora il contribuente abbia dimostrato impossibilità di adempiere al pagamento dell’imposta per assoluta mancanza di liquidità .
La riforma del sistema sanzionatorio ha mantenuto l’illiceità penale della condotta di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000, ma ne ha tuttavia limitato la punibilità ai soli casi in cui la sottrazione agli obblighi tributari sia assai significativa.
Infatti, sono penalmente rilevanti unicamente gli omessi versamenti di IVA, qualora l’imposta evasa sia superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.
E’ da ritenere che tale modifica comporterà senz’altro una notevole diminuzione dei procedimenti per tale reato, dato che è ipotizzabile unicamente nel caso di imprese di grandi dimensioni.

  • Indebita compensazione (art. 10 quater)

  L’art. 9 del D.Lgs. n. 158/2015 ha introdotto una modifica sostanziale del reato di “indebita compensazione” di cui all’art. 10 quater del D.Lgs. n. 74/2000.
Infatti, tale norma, a seguito della riforma, è stata suddivisa in due distinte fattispecie, a seconda che la compensazione indebita sia stata operata dal contribuente con crediti d’imposta “non spettanti” ovvero con crediti “inesistenti”.
I crediti “inesistenti” sono quelli che non trovano alcun fondamento nella realtà e, nonostante ciò, vengono fittiziamente indicati in dichiarazione.
Più problematica, invece è la definizione dei “crediti non spettanti” che, pur essendo esistenti, non possono essere ancora portati in compensazione o non sono più utilizzabili.
Per l’indebita compensazione di crediti non spettanti la pena applicabile va da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni di reclusione.
Nel caso di crediti inesistenti, invece, la pena è stata aumentata da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione, come per i delitti caratterizzati da frode.
Tale distinzione deriva dalla considerazione che l’utilizzo di crediti inesistenti sia “fattispecie estremamente offensiva”, come viene evidenziato dalla Relazione al Decreto n. 158/2015, dato che tale crediti sono difficilmente accertabili con le procedure automatizzate per i controlli operati dall’amministrazione finanziaria.
A nostro parere si tratta di due fattispecie delittuose autonome, dato che l’oggetto materiale del reato è diverso e che il trattamento sanzionatorio nel secondo caso è molto più severo, proprio per la particolare capacità ingannatoria della condotta. 

11. Confisca
Tra le disposizioni comuni alle varie fattispecie di reati, occorre evidenziare che il Legislatore del D.Lgs. n. 158/2015 ha introdotto nel D.Lgs. n. 74/2000 una disposizione specifica in tema di confisca obbligatoria per i reati tributari, inserendo l’art. 12 bis.
Tale norma prevede che nel caso di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. “patteggiamento”) per uno dei delitti tributari è obbligatorio procedere alla confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, a meno che tali beni non appartengano a persona estranea al reato.
Inoltre, qualora non sia possibile procedere alla confisca diretta del prezzo o profitto del reato (cosa infatti piuttosto difficile in materia di evasione, laddove è più frequente il risparmio di imposta, più che il conseguimento di utilità), è ammessa la confisca per equivalente dei beni di cui il reo abbia la disponibilità, di valore corrispondente al prezzo o profitto conseguito attraverso la realizzazione del reato.
Tale previsione non introduce alcuna particolare innovazione, dato che già l’art. 1, comma 143, della L. 24 dicembre 2007, n. 244 aveva previsto l’applicabilità di tale misura di sicurezza patrimoniale anche per i reati tributari.
La vera novità contenuta nell’art. 12 bis consiste invece nella possibilità per il contribuente-imputato di evitare l’applicazione della confisca per la somma che questi si impegna a versare all’erario, anche in presenza di sequestro.
Tale previsione, a nostro parere, mira ad evitare che il sequestro per equivalente finalizzato alla futura confisca possa di fatto impedire la possibilità di accedere al “patteggiamento” o di beneficiare dell’attenuante del pagamento del debito tributario.
Ma vi è di più. Il sequestro dei beni dell’imputato (ai fini della futura confisca) potrebbe impedire anche il perfezionarsi delle procedure deflattive del contenzioso tributario, quali il ravvedimento operoso, l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, che si realizzano con il pagamento almeno della prima rata.
In particolare, nella pratica fiscale è spesso accaduto, negli ultimi anni, che il contribuente socio che abbia sottoscritto la dichiarazione dei redditi di una persona giuridica e, quindi, risulti imputato di un delitto tributario, non sia in grado – non avendo la disponibilità dei propri beni personali in quanto sottoposti a sequestro – di ricapitalizzare la propria azienda, priva di adeguate capacità finanziarie, onde consentire a quest’ultima di accedere ad una delle procedure conciliative o al pagamento del debito tributario, con il rischio addirittura di dover cessare l’attività economica.
Per ovviare a tale lacuna il Legislatore ha previsto che l’autorità giudiziaria possa svincolare dal sequestro i beni dell’imputato, per consentire a quest’ultimo di utilizzarli per estinguere, in tutto o in parte, il debito tributario, sulla base di un semplice impegno.
In ogni caso, per evitare abusi, l’ultimo inciso del secondo comma dell’art. 12 bis dispone che, qualora l’imputato non rispetti tale impegno, sarà sempre disposta la confisca, anche per equivalente.
Tale meccanismo consente al reo di potersi avvalere di numerosi vantaggi sotto il profilo processuale (accesso al “patteggiamento”, applicabilità dell’attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 13 e in certi casi il venir meno della punibilità) e, al contempo, comporta per l’amministrazione un vantaggio significativo e, cioè, il fatto di poter ottenere un pagamento immediato di denaro, senza attendere i tempi lunghi del processo.
Tali previsioni appaiono però di difficile applicazione, laddove il patrimonio dell’imputato sottoposto a sequestro preventivo, ai fini della futura confisca, sia costituito da beni immobili, marchi, quote societarie, etc.
Infatti, viene da chiedersi se sia lecito che il reo possa impegnarsi a far fronte al pagamento del debito tributario anche con tali beni, dato che la norma usa il termine “versare”, di regola riferito alle sole somme di denaro.
La risposta non può che essere affermativa, dato che non vi è ragione di favorire i contribuenti che hanno a disposizione ingenti somme di denaro, penalizzando coloro che potrebbero far fronte al debito tributario con la liquidazione del proprio patrimonio.
Peraltro, tale interpretazione corrisponde ad uno dei criteri che hanno ispirato la Legge Delega e, cioè, all’intento di realizzare concretamente il recupero delle imposte evase o non versate.
In tal caso, l’autorità giudiziaria potrebbe senz’altro “svincolare” gli assets patrimoniali, che il reo avrebbe il compito (e l’interesse) a liquidare, versando il corrispettivo all’erario a soddisfacimento del debito tributario, in adempimento dell’impegno assunto.
Nella pratica, tuttavia, occorrerà muoversi in tempo, dato che la liquidazione di taluni elementi patrimoniali, come le quote societarie, potrebbe non concludersi in tempi rapidi, con il rischio che venga meno ogni effetto premiale per l’imputato nell’ambito del processo penale.
Da ultimo, si sottolinea che i beni sequestrati diversi dal denaro e dalle altre disponibilità finanziarie sono affidati in custodia giudiziale all’Autorità Giudiziaria e vengono messi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per le proprie esigenze operative, ai sensi del nuovo art. 18 bis del D.Lgs n. 74/2000.

12.  Ipotesi di non punibilità per effetto del pagamento del debito tributario
Nell’intento di circoscrivere le rilevanza penale a fatti dotati di concreta offensività, il D.Lgs. n. 158/2015 ha previsto una speciale causa di non punibilità per talune fattispecie delittuose, derivante dal pagamento del debito tributario.
In particolare, il nuovo art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 dispone che i reati di “omesso versamento di ritenute dovute o certificate” (art. 10 bis), “omesso versamento di IVA” (10 ter) e “indebita compensazione” di crediti non spettanti (art. 10 quater, comma 1) non sono punibili se, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario (comprensivo di tributi, interessi e sanzioni) è stato interamente estinto, anche attraverso il perfezionamento di una delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento, nonché mediante il ravvedimento operoso.
Inoltre, viene meno la punibilità altresì per il delitto di “dichiarazione infedele” (art. 4) qualora l’imputato provveda al pagamento integrale di tributi, sanzioni e interessi attraverso l’istituto del ravvedimento operoso, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al successivo periodo d’imposta.
Analogamente, il reato di “omessa dichiarazione” (art. 5) non sarà punibile qualora il contribuente estingua il debito tributario presentando la dichiarazione omessa entro il termine per la dichiarazione relativa al successivo periodo d’imposta.
In entrambe tali ultime ipotesi, il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa costituiscono causa di punibilità, a condizione che il contribuente non abbia ancora avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Inoltre, come per le fattispecie di cui al primo comma, anche per le ipotesi di cui agli artt. 4 e 5, la causa di punibilità opera unicamente qualora l’estinzione del debito avvenga prima delle formalità di apertura del dibattimento di primo grado.
Ciò nondimeno, per evitare di penalizzare i contribuenti che intendono pagare a rate il debito tributario, l’art. 13, comma 3, per le ipotesi di rateizzazione prevede la possibilità per il Giudice di assegnare al contribuente un termine (in ogni caso non superiore a sei mesi) per poter estinguere il debito tributario medesimo.

13.  Pagamento del debito tributario: circostanza attenuante e “patteggiamento”
Al di là delle ipotesi di non punibilità, il pagamento integrale del debito tributario, ai sensi del nuovo art. 13 bis, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000 comporta la diminuzione fino alla metà della pena prevista per qualunque delitto tributario e la non applicabilità delle sanzioni accessorie.
Come nella normativa previgente, per l’applicabilità di detta attenuante ad effetto speciale occorre che il debito tributario (consistente in  tributi, interessi e sanzioni) sia stato integralmente estinto, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione previste dalle leggi tributarie, prima dell’apertura del dibattimento.
E’ da notare che tra le procedure che comportano l’estinzione del debito tributario rilevanti ai fini dell’applicabilità dell’attenuante in parola, il Legislatore non menziona espressamente l’istituto del ravvedimento operoso.
Tuttavia, ciò che rileva è il dato sostanziale del pagamento del debito tributario, a prescindere o meno della modalità e, quindi, il mancato riferimento all’istituto in questione probabilmente deriva da un difetto di coordinamento con le altre disposizioni di carattere processuale.
Inoltre, a differenza di quanto previsto dal precedente art. 13, non è previsto che il Giudice possa assegnare all’imputato un termine per estinguere il debito tributario in caso di rateizzazione.
Infine, ai sensi dell’art. 13 bis, comma 2, la richiesta di applicazione della pena di cui agli artt. 444 e segg. cod. proc. pen. (il c.d. “patteggiamento”) è subordinata alla condizione che l’imputato abbia integralmente estinto il debito tributario, anche mediante le procedure conciliative o di accertamento con adesione, nonché attraverso il ravvedimento operoso.
E’ da notare che solo l’estinzione degli obblighi tributari comporta la possibilità di definire il processo mediante il c.d. “patteggiamento”, il quale consente la riduzione fino a un terzo della pena.
Tale scelta legislativa, già introdotta dal D.L 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella L. 14 settembre 2011 n. 148, è stata giustificata  dall’esigenza di indurre l’imputato-contribuente a versare il dovuto all’Erario, per poter usufruire del trattamento premiale derivante da tale rito alternativo.
In ogni caso, se da un lato il Legislatore della riforma del sistema sanzionatorio ha diminuito la punibilità di talune fattispecie, d’altro canto non ha tenuto in considerazione il probabile aumento dei processi in tema di delitti tributari per effetto dell’impossibilità di definire il relativo procedimento mediante applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi degli artt. 444 e segg. cod. proc. pen., da parte di coloro che –magari per effetto della crisi economica – versano in difficoltà finanziarie e, quindi, non possono estinguere il debito tributario

14. Circostanza aggravante nel caso di concorso con il consulente fiscale che abbia predisposto modelli di evasione
Particolare attenzione merita l’introduzione di una circostanza aggravante ad effetto speciale per i delitti in materia di dichiarazione, qualora venga accertato il concorso del consulente fiscale che abbia elaborato o commercializzato modelli di evasione fiscale.
Il nuovo art. 13 bis, comma 3, del D.Lgs. n. 74/2000, prescrive infatti che la pena prevista per il delitti di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, “dichiarazione infedele” e “omessa dichiarazione” siano aumentate della metà se il reato è commesso in concorso con un professionista, un intermediario finanziario o bancario che abbia costruito un “modello di evasione” e lo abbia venduto ai propri clienti .
Si tratta di un’aggravante ad effetto speciale che comporta un aumento di pena “automatico” della metà e si applica qualora il contribuente abbia posto in essere taluno dei delitti di cui sopra, avvalendosi di un modello di evasione predisposto e fornito dal proprio consulente fiscale.
Innanzitutto, occorre premettere che l’aggravante in questione non si applica al semplice concorso del consulente fiscale, ovvero qualora il professionista abbia dato un qualsiasi contributo causale (materiale o morale) per la realizzazione del fatto-reato.
E’ necessario infatti un quid pluris, consistente nell’utilizzo di uno schema ideato appositamente per evadere le imposte.
infatti, tale modus operandi appare maggiormente pericoloso in quanto, da un lato potrebbe più facilmente indurre il contribuente a commettere il reato, proponendo un paradigma di condotta già predefinita, dall’altro potrebbe comportare un ostacolo per l’accertamento.
Tuttavia, non poche perplessità desta la definizione di “modello di evasione”.
In attesa dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto, possiamo solo ipotizzare che il Legislatore abbia voluto impedire che i consulenti, dotati di conoscenze specifiche, predispongano schemi di pianificazione fiscale particolarmente spavaldi o anche solo costruzioni giuridiche complesse, fornendo gli strumenti legali e di fatto per poterle realizzare, per trarre profitto dall’intento di evasione dei propri clienti.

15.  Non rilevanza penale dell'abuso del diritto
Occorre da ultimo fare un breve cenno alle implicazioni sotto il profilo penale derivanti dalla nuova definizione normativa del concetto di "abuso del diritto o elusione fiscale", di cui al nuovo art. 10 bis della L. 27 luglio 2000, n. 212 ("Statuto dei diritti dei Contribuenti"), introdotto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.
Tale norma prevede che " configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni".
Per quanto qui interessa, il comma 13 del citato art. 10 bis della L. n. 212/2000 dispone espressamente che tali "operazioni abusive" non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, ferma restando, in ogni caso, l'applicabilità delle sanzioni amministrative.

Paola Pasquinuzzi                                                  Martina Urban
Avvocato in Firenze                                               Avvocato in Firenze 
        

Sono invece escluse le "dichiarazioni di intento" dato che non hanno la natura giuridica di  "dichiarazione tributaria", dato che la cessione non è ancora avvenuta e quindi l'obbligazione tributaria non è sorta.

Ai sensi dell'art. 5, comma 1 del D.Lgs. n. 74/2000 "è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila".

1-bis. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d'imposta, quando l'ammontare delle ritenute non versate e' superiore ad euro cinquantamila.

 

Cfr., ad esempio, Cass. Pen., Sez. III, 17 luglio 2014 – 5 maggio 2015, n. 18501 e Cass. Pen., Sez. III, 6 marzo 2014, n. 19426.

La formulazione definitiva della norma  prevede l’applicabilità dell’aggravante per la predisposizione del “modello di evasione”, a differenza del testo contenuto nello schema di decreto preliminare, che parlava espressamente di “modelli seriali”. Tale dizione aveva infatti subito sollevato le critiche degli operatori, essendo troppo generica per poter rispettare i requisiti di tassatività e determinatezza tipici della norma penale.







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