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ANCORA IN TEMA DI (IR)RILEVANZA PENALE DELL'ABUSO DEL DIRITTO
P. Pasquinuzzi e M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.30
- 2017
ANCORA IN TEMA DI (IR)RILEVANZA PENALE DELL'ABUSO DEL DIRITTO
di Paola Pasquinuzzi e Martina Urban
Dopo un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla nozione di "abuso del diritto" e sul concetto di "elusione fiscale"e sulla possibile rilevanza penale di tali istituti, il Legislatore, con il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, ha definito a livello normativo tali fattispecie, con l'introduzione dell'art. 10 bis della Legge n. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente).
Tale norma prevede espressamente la nozione di "abuso del diritto o elusione", che si configura qualora "una o piu' operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti".
Ai fini tributari, tali operazioni, pur valide ed efficaci sul piano civilistico, vengono considerate "non opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni".
Di conseguenza, l'abuso del diritto sussiste laddove le operazioni effettuate siano prive di sostanza economica e siano prevalentemente dirette a realizzare un vantaggio fiscale indebito.
Innanzitutto, il comma n. 2 della citata norma si propone di definire quali siano le "operazioni prive di sostanze economica", qualificabili come"i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali".
Per stabilire quando un'operazione sia priva di sostanza economica, la norma detta alcuni "indici", quali "la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformita' dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato".
Tali "indici" non devono considerarsi tassativi ed esaustivi, dal momento che la nozione di "antieconomicità" non può essere predeterminata, dato che occorre considerare una serie di variabili attinenti al caso concreto.
Anche per tale ragione, il Legislatore ha previsto un contraddittorio obbligatorio prima dell'emissione dell'atto impositivo, proprio per consentire al contribuente di fornire chiarimenti in ordine alle attività contestate dall'Amministrazione Finanziaria.
Oltre a quanto sopra, è configurabile l'abuso del diritto unicamente qualora lo scopo essenziale delle operazioni sia stato quello di conseguire vantaggi fiscali indebiti, che sono quelli "anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalita' delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario".
Pertanto, non è vietato di per sé il fatto di conseguire un risparmio d'imposta, quanto la strumentalizzazione di istituti giuridici leciti, in contrasto con le finalità delle norme tributarie.
Tale condotta è sanzionata ai fini fiscali solo qualora il perseguimento di tale vantaggio sia stato lo scopo essenziale della condotta stessa e, cioè, la motivazione prevalente dell'operazione abusiva.
Ciò nonostante, il Legislatore pone un limite alla valutazione di antieconomicità della condotta del contribuente, precisando che "non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalita' di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attivita' professionale del contribuente".
Infatti, può verificarsi che, in talune ipotesi, le operazioni poste in essere, pur non essendo in quel momento economicamente efficaci o efficienti, in realtà rispondano ad una diversa e più ampia progettazione imprenditoriale, a prescindere dagli effetti fiscali.
In buona sostanza, l'abuso del diritto tributario non è altro che l'uso di istituti giuridici leciti con finalità indebite, in contrasto con le norme fiscali o con i principi generali dell'ordinamento.
Ai fini sanzionatori, ai sensi del citato art. 10 bis, comma 13, dello Statuto del Diritti del Contribuente, "le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie", ferma restando tuttavia l'applicazione delle sanzioni amministrative.
La semplice lettura di tale disposizione sembrerebbe confermare senza ombra di dubbio che l'eventuale contestazione di condotte abusive o elusive non possa rientrare nell'ambito dei fatti penalmente rilevanti.
Ciò si pone in linea con la ratio del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 che, riformando il sistema sanzionatorio tributario, ha ridotto l'ambito penale, attribuendo un giudizio di particolare disvalore alle condotte fraudolente, simulatorie o maggiormente lesive per gli interessi dell'Erario.
Particolare perplessità desta il caso della simulazione totale o parziale, in cui i contraenti pongono in essere un negozio giuridico di cui vi è solo l'apparenza, ma che invece celano una diversa realtà, a cui consegue quindi un vantaggio fiscale non spettante.
In particolare, si ha simulazione assoluta, qualora le parti sottoscrivano un contratto, con l'intesa che tuttavia tale atto non determini alcun effetto giuridico concreto, se non ai fini fiscali.
Al contrario, nel caso della simulazione relativa, i contraenti formano un negozio apparente ma, in realtà, eseguono un diverso accordo dissimulato (ad esempio: l'operazione di conferimento di azienda potrebbe mascherare in realtà quello di cessione di azienda).
Proprio su tale tema, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto una rilevanza penale alle operazioni abusive, allorquando le stesse siano "meramente simulate" e, cioè, siano prive di qualsivoglia contenuto effettivo.
In tal senso, la Suprema Corte ha affermato che "ai sensi dell'art. 10 bis, comma 13, del riformato Statuto del contribuente - secondo il quale 'le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie' - può definirsi elusiva, e pertanto penalmente irrilevante, solamente una operazione che, pur principalmente finalizzata al conseguimento di un vantaggio tributario, sia tuttavia caratterizzata da una effettiva e reale funzione economico sociale meritevole di tutela per l'ordinamento, tale non potendosi ritenere un'operazione che sia, viceversa, meramente simulata" (Cassazione penale, sez. III, 20 novembre 2015, n. 41755).
Recentemente, la Cassazione è nuovamente intervenuta sul punto, prendendo in considerazione un caso concreto in cui le operazioni qualificate come "elusive" dall'Amministrazione Finanziaria erano state effettivamente poste in essere, avevano un loro significato economico e i flussi finanziari corrispondevano al trasferimento dei diritti pattuiti.
La Suprema Corte ha affermato che "attraverso la limitazione della rilevanza penale alla sole operazioni poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte o riferite a soggetti fittiziamente interposti, il Legislatore ha escluso la rilevanza penale delle operazioni meramente elusive, nelle quali, come nella specie, venga adottato uno schema negoziale articolato [...] allo scopo di conseguire un indebito vantaggio fiscale, in relazione, però, ad una operazione economica realmente verificatasi e che ha dato luogo a flussi finanziari effettivi ed al trasferimento dei diritti" (cfr. Cassazione penale, sez. III, 20 aprile 2016, n. 48293, dep. 16 novembre 2016).
In conclusione, alla luce dei principi sopra illustrati, perchè si realizzi una fattispecie penalmente rilevante, è necessario che il contribuente abbia posto in essere comportamenti ingannatori o fraudolenti nei confronti del Fisco.
In particolare, potrà essere configurata la responsabilità penale, qualora l'operazione sia "meramente simulata" e, cioè, abbia la parvenza di un negozio giuridico, ma in realtà sia del tutto priva di qualsiasi contenuto effettivo e sia dotata altresì di capacità ingannatoria per l'Amministrazione Finanziaria.
In tal caso, saranno ipotizzabili i delitti di "dichiarazione infedele", di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 e, soprattutto, quello di "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici", previsto dall'art. 3 del citato D.Lgs. n. 74/2000.
Quando invece il contribuente abbia posto in essere effettive operazioni negoziali, pur con finalità elusiva, ma aventi tuttavia un significato economico, la condotta sarà irrilevante dal punto di vista penale, in virtù del disposto di cui all'art. 10 bis della L. n. 212/2000.