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I DELITTI DI OMESSO VERSAMENTO SI POSSONO PATTEGGIARE ANCHE SENZA
PAGAMENTO DEL DEBITO TRIBUTARIO
P. Pasquinuzzi e M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.46
- 2018
I DELITTI DI OMESSO VERSAMENTO SI POSSONO PATTEGGIARE ANCHE SENZA PAGAMENTO DEL DEBITO TRIBUTARIO
di Paola Pasquinuzzi e Martina Urban
Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione affronta per la prima volta il tema dell'applicabilità dell'istituto del c.d. "patteggiamento" in ordine ai delitti di "omesso versamento" statuendo, secondo motivazioni del tutto condivisibili, che per tali fattispecie di reato è possibile accedere al suddetto rito speciale, che comporta la diminuzione della pena fino ad un terzo.
Occorre innanzitutto premettere che l’art. 13 bis, comma 2, del D.Lgs. n. 74/2000 dispone in generale che per i delitti previsti dal medesimo decreto la richiesta di applicazione della pena, di cui agli artt. 444 e segg. cod. proc. pen. (il c.d. “patteggiamento”), è subordinata alla condizione che l’imputato, prima dell'apertura del dibattimento, abbia integralmente estinto il debito tributario, anche mediante le procedure conciliative o di accertamento con adesione, nonché attraverso il ravvedimento operoso.
Tale scelta legislativa, già introdotta dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella L. 14 settembre 2011 n. 148, è stata giustificata dall’esigenza di indurre l’imputato-contribuente a versare il dovuto all’Erario, per poter usufruire del trattamento premiale derivante da tale rito alternativo.
E' da rilevare che il c.d. "patteggiamento" costituisce una modalità di definizione del procedimento immediata, non impugnabile se non in casi eccezionali e, di conseguenza, è uno strumento deflattivo del dibattimento che, oggettivamente, ha tempi processuali decisamente più dilatati.
Tale scelta legislativa in ordine ai delitti tributari, chiaramente ispirata alla necessità di condizionare la scelta processuale alla condotta riparatoria, costituita dall'integrale estinzione del debito erariale, ha tuttavia comportato una diminuzione dei procedimenti definiti mediante "patteggiamento", soprattutto a causa dell'impossibilità ad adempiere da parte di coloro che – per effetto della crisi economica – si trovano in difficoltà finanziarie e, quindi, non sono in grado di estinguere il suddetto debito.
Peraltro, la disposizione di cui all'art. 13 bis, comma 2 è norma processuale, in quanto il legislatore ha introdotto un'esclusione oggettiva dal "patteggiamento", riferita alla generalità dei reati in materia tributaria previsti dal citato decreto legislativo n. 74 del 2000, onde essa trova applicazione in relazione a tutti i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dalla norma, indipendentemente dalla data di commissione del reato (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 12 gennaio 2018, n. 5448).
Tale norma, in dottrina, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale, anche se a tutt'oggi la Consulta non si è ancora espressa sul punto.
In generale, benché non esista un diritto a definire la propria posizione processuale mediante "applicazione della pena su richiesta", tuttavia, il legislatore, nel dettare la disciplina dell’istituto del patteggiamento, non ha voluto subordinare l’ammissibilità della richiesta all’adempimento di specifici incombenti da parte dell’indagato/imputato né al verificarsi di condizioni estranee al procedimento penale stesso.
Alla luce di ciò, la disciplina dettata in materia di delitti tributari appare irragionevole e in netto contrasto con il sistema delineato nel codice di rito.
Infatti, la disposizione di cui all’art. 13 bis, comma 2, del D.Lgs. n. 74/2000, condiziona l’azione processuale delle parti al verificarsi di una circostanza esterna al processo stesso (e, cioè, al pagamento del debito tributario) che, oltretutto, fa capo alla volontà dell’Amministrazione Finanziaria, soggetto che è al di fuori del processo penale e al quale è però demandato il potere di determinarne il corso.
Sulla base di ciò, la norma presenta specifici profili di illegittimità costituzionale, in contrasto con la norma di cui all'art. 24, primo comma, Cost., che tutela il diritto di tutti i cittadini ad agire in giudizio della tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
Infatti, il procedimento penale per reati tributari ed quello tributario sono indipendenti l’uno dall’altro e hanno tempi diversi, ma addirittura la pretesa finanziaria potrebbe anche risultare erronea o illegittima.
Ne consegue che il contribuente, contemporaneamente imputato per uno dei delitti previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, il quale volesse adire il contenzioso tributario per far valere in tale sede le proprie ragioni, nel caso in cui volesse in sede penale accedere al rito del patteggiamento, si vedrebbe precluso il diritto di agire in giudizio in sede tributaria, essendo obbligato a definire la propria posizione con l'Erario, ancorché la pretesa possa essere ingiusta.
Inoltre, la norma impone l’integrale estinzione del debito tributario “anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie”, senza tener conto del fatto che in tali casi il pagamento del debito possa avvenire anche ratealmente, come previsto dalle norma tributarie, in evidente contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
Invero, potrebbe determinarsi una ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti che siano stati in grado di effettuare il versamento in un’unica soluzione e quelli che, per difficoltà economiche, magari del tutto indipendenti dalla loro volontà, siano stati costretti a richiedere il pagamento rateizzato del debito, pur avendo sia gli uni che gli altri definito la propria posizione tributaria mediante accertamento con adesione o conciliazione giudiziale.
Oltre a quanto sopra esposto, va rilevato che la norma di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede che, in caso di integrale estinzione del debito tributario, purché intervenuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, per i delitti di "omesso versamento di ritenute dovute o certificate", "omesso versamento di IVA" e "indebita compensazione", di cui, rispettivamente, agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater del medesimo Decreto, opera una speciale causa di non punibilità.
Fatta questa ampia premessa, per quanto riguarda la sentenza in commento, alla Corte di Cassazione viene sottoposto il caso di un contribuente che, chiamato a rispondere del delitto di "omesso versamento di IVA", aveva definito il procedimento penale mediante sentenza di "patteggiamento", pur non avendo estinto il proprio debito tributario.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Firenze aveva quindi impugnato tale sentenza, sostenendo che tale decisione aveva irrogato una pena "illegale", perchè in contrasto con la norma che appunto subordina la richiesta di applicazione della pena su richiesta al pagamento integrale del debito tributario.
La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha affermato che la tesi del Procuratore Generale, per cui sarebbe illegittimo il patteggiamento in caso di mancato pagamento del debito, stante il richiamo generalizzato del divieto esteso a tutti i delitti tributari, a norma dell'art. 13 bis del DLgs n. 74/2000, è contraddetta dalla coesistenza, all'interno dello stesso decreto, dell'art. 13, comma 1 (espressamente richiamato dalla parte finale dell'art. 13 bis, comma 2) che, all'evidente fine di restringere il proprio ambito di applicabilità, prevede che i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, non siano punibili se "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonchè del ravvedimento operoso".
Pertanto, secondo la Suprema Corte "proprio tale coesistenza significa infatti (pena, diversamente ragionando, una insanabile contraddizione interna del sistema) che, rappresentando il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (ovvero entro lo stesso termine ultimo previsto per richiedere il rito speciale), in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo, per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili. Sicchè, in altri termini, o l'imputato provvede, entro l'apertura del dibattimento, al pagamento del debito, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l'applicazione della pena per i medesimi reati; e tale alternativa è, a ben vedere, implicitamente condensata nella clausola di salvezza contenuta, come appena detto sopra, nella parte finale dell'art. 13 bis, laddove in particolare lo stesso richiama il contenuto dell'art. 13, comma 1 cit." (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 21 agosto 2018, n. 38684).
In conclusione, i Giudici di legittimità hanno affermato un principio di notevole importanza, in quanto, in base al combinato disposto dell'art. 13 bis, commi 1 e 2, (che apparentemente per tutti delitti tributari condiziona il patteggiamento all'intervenuta integrale estinzione del debito) e l'art. 13, nella attuale formulazione (che prevede una speciale causa di non punibilità al verificarsi della suddetta condizione), per i delitti di omesso versamento di IVA e ritenute, nonché per quello di indebita compensazione può essere richiesto il patteggiamento anche in caso di mancato pagamento del debito erariale.